Tutto finisce

Esplorando l’obelisco gli investigatori sono entrati in una sala ognuna più spaventosa dalla precedente: l’ultima era una sorta di piscina con al centro una fanghiglia che sembrava  muoversi debolmente verso gli investigatori. Superando celermente la stanza i personaggi si sono trovati d’innanzi ad una cosa che non poteva esistere razionalmente neppure in quel luogo che violava le leggi della natura.
Davanti a loro c’era Starkweather o meglio la sua testa, inserita in una orribile composizione che sembrava la macabra opera d’arte di quelle creature antiche: un enorme manufatto costruito con decine di teste recise ancora vive formava una muraglia vivente. Alcune erano pinguini albini, altre erano “teste” decomposte ma una testa, quella del capo esplorazione, pareva osservarli e non vederli nel mezzo di quel sovrapporsi di follia inimmaginabile.
Acacia Lexington mossa da una specie di follia o di pietà si è mossa verso il muro e con un colpo del suo bastone animato ha reciso l’impetosa testa di quello che un tempo era stato il suo nemico.
Quel gesto misericordioso ha messo a riposo quello che forse non era più il loro vecchio compagno.
Ma gli investigatori non hanno potuto commiserare a lungo lo scomparso: il pavimento ha tremato e quindi il gruppo ha iniziato a dirigersi verso l’uscita.
Quando pochi metri mancavano 2 creature antiche si sono avventati su di essi come per cercar di “riparare” la scultura con del nuovo materiale vivente divenuto così “disponibile” dopo millenni di silenzi nei ghiacci. Il gruppo ha aperto il fuoco con tutto quello che avevano a disposizione: pistole, fucili, shotgun ed addirittura un mitragliatore Thompson. Così facendo i 2 antichi ed un pilota vittima del fuoco amico sono caduti a terra.
In quell’attimo Burt si è reso conto di cosa era realmente accaduto: durante lo svenimento era entrato in simbiosi con l’obelisco assorbendone i segreti ivi celati. Gli investigatori, staccando la testa, avevano come aperto un pertugio in una antica prigione: l’obelisco era in realtà una barriera per salvare la città degli antichi, da una divinità antica proveniente da oltre le stelle.
Adesso Acacia con il suo gesto sconsiderato e dettato dall’emozione aveva appena condannato l’umanità.
Nel frattempo la prigione è divenuta instabile e per un attimo hanno iniziato a piovere all’esterno delle pietre nere mentre l’obelisco per un attimo ha lasciato posto al Dio Senza Nome, L’imprigionato, Colui che viaggia coprendo le stelle. Quel breve attimo è bastato per far uscir di senno tutti coloro che erano vicini agli aerei: Josuè Green, Halperin il pilota della spedizione Moore-Starkweather e Baumann il pilota tedesco. Così alla fine rimaneva un unico pilota. Ma dove scappare? Il fuggire sarebbe stato solamente un ritardo dell’inevitabile.
Ad un tratto Burt ha proposto di “riparare” il muro di teschi con uno dei compagni irrimediabilmente impazzito: Baumann. Tornando dentro e lasciando Acacia e gli altri a riscaldare l’aereo, gli investigatori hanno adagiato colui che un tempo era Baumann nella stanza della fanghiglia la quale ha iniziato a muoversi ed ad avvolgere lo sfortunato pilota. Non appena la sostanza che la componeva è entrata a contatto con il corpo inerme la carne ha iniziato a sciogliersi fino a che non è rimasto uno scheletro con il viso intatto: infatti la fanghiglia una volta giunta al collo si è fermata.
Successivamente 2 antichi sono entrati ignorando gli investigatori ed hanno portato il corpo con se, probabilmente a sostituire la testa mancante di Starkweather.
Ma i problemi non sono finiti qui. Non appena gli antichi scomparivano hanno sentito il rombo di un aeroplano e catapultandosi fuori hanno assistito ad uno dei due velivoli rimasti che terminava il decollo e diveniva sempre più piccolino tuffandosi nelle turbolenze delle montagne della follia.
Come a rinfrancare i disperati eroi i tremori precedenti si sono improvvisamente fermati segno che la “prigione” era stata ripristinata con la testa di Baumann.
Se non altro l’umanità era salva, anche se non meritevole a causa di persona come Acacia che avevano abbandonato i propri compagni a morire in mezzo ai ghiacci.
Se non che ….
Lo psichiatra ha cercato di scuotere dall’apatia Halperin che era stato abbandonato in quanto non vi era più posto nell’aereo appena decollato. Grazie ad una prova eccellente il catatonico pilota è stato ridestato e messo in grado alla meno peggio di guidare Belle , l’ultimo velivolo rimasto e tornare al campo base.
Lì si sono accorti che nessun altro aereo era arrivato e che vi erano state delle forti scosse telluriche in concomitanza all’allentamento della prigione del Dio Senza Nome.
Recuperato un pilota sano di mente gli eroi hanno volato ancora alla volta della città degli antichi per recuperare parte della spedizione che era stata lasciata per problemi di spazio tra cui Moore.
Infine abbandonate le speranze di ritrovare i “traditori” si sono adoperati per richiamare la Gabrielle e porre fine alla spedizione: il professor Meyer si è messo in contatto con la spedizione tedesca e dopo un giorno l’enorme zeppelin ha fatto un rendezvous con la spedizione americana.
Infine dopo 3 giorni il campo Miskatonic era smantellato: i reperti trovati imballati ed impacchettati per il viaggio di ritorno. Dopo altri 4 giorni Gabrielle  salpava verso l’Australia, verso  la civiltà.
Solo un episodio è accaduto durante le 2 settimane di navigazione: uno dei marinai ha mostrato all’investigatore privato con un certo orgoglio una strana pietra nera che credeva fosse prezioso: la stessa pietra che era comparsa con la rimozione della testa di Starkweather.
Burt subito ha riconosciuto la “gemma” come una infinitesima scheggia del Dio Senza Nome, una sorta di seme in grado di dare origine ad una reincarnazione del Prigioniero e quindi tutti si sono organizzati all’interno della nave per trovare e recuperare le “finte” gemme.
Gabrielle. Malgrado ciò non riesco a non pensare a quel sogno che ogni tanto faccio, anche a distanza di mesi, dove nella mia testa vedo una cassa nella stiva dello zeppelin con un carico di pietre nere che sembrano i semi del Dio Senza Nome.
Tekelì Tekelì.

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